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Saggi di critica d'arte

261995
Cantalamessa, Giulio 24 occorrenze
  • 1890
  • Zanichelli
  • Bologna
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Saggi di critica d'arte

Io son qui a parlarvi di un pittore secentista, ossia di uno di quelli intorno ai quali non s’industria in alcun modo l’acuità, per tanti rispetti

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’avvenire un capitale prezioso di fatti accertati, dei quali toccherà ai futuri far la selezione e una sintesi più sapiente che non sia stata fatta sin

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usci e dalle botteghe uscivano uomini e donne null’altro che per vederlo passare, e le madri l’indicavano ai bimbi lagrimose di tenerezza. Ma il

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maniera più dolce e più diligente conveniva più ai suoi gusti fiamminghi, Dionisio Calvart (è il nome di questo giovane) fece onore ai fausti presagi

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, in grado superiore ai pittori suddetti, la mia risposta sarebbe francamente negativa. I secentisti sono più disinvolti, più destri, più dotti di lui

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seggio ai celesti, degli angeli folleggianti, dei putti disturbatori che s’introducono dappertutto. Non era eclettismo: era rimaneggiare il Correggio

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fecero presto intendere ai maestri che tal discepolo si sarebbe rapido levato alla pari di chicchessia. Il buon Lodovico godea di tal previsione; Annibale

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Raffaello meno degli altri. Quando l’anima giovanile non ha ancor avuto rivelazione delle sue segrete potenze e si apre ansiosa ai diletti di ciò che la

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Guido, come tutti i pittori vissuti prima del nostro secolo, applicava le stesse simpatie del suo cuore ai soggetti sacri ed ai profani, quasi senza

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delle impostature, dello svoltar delle linee, dei piani delle forme. Vide viva muoversi innanzi ai suoi occhi un’arte in cui fervea l’irrequietudine

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camminano rasente ai grandi e sicuri possessori della forma, serbando sempre un po’d’acerbezza di frutto immaturo. Ha delle esitazioni; gli manca il

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sicura preveggenza della gloria riservata a tanto ingegno. S’affezionava ai giovani. Non si leggono senza tenerezza quelle pochissime parole, tanto

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caro per la sua fedeltà ai principi del quattrocento, per la sua inconsapevolezza dell’ulteriore svolgimento (ov’egli maldestro avrebbe potuto

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cinto il capo del Francia. Il maestro potè dunque dedicarsi tranquillo all’arte sua ed all’occupazione prediletta d’insegnare ai giovani, che correvano

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mancasse di mandar esemplari delle stampe nella sua città natale, voglioso di far vedere ai suoi concittadini che in Roma egli contava qualche cosa e

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preceduta da anni di ricerche quasi meticolose. O giovani che ai nostri giorni ammirate lo stile sì libero di Domenico Morelli, sappiate che nella sua

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Ad ogni modo, il primo periodo di Giacomo Francia è il più corretto. Protraendo la vita fino al 1557, egli passò noncurante, pigro, in mezzo ai

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, dicendo che il desiderio di dare risalto ai meriti dei suoi concittadini non lo rende si cieco da non fargli vedere che questo imolese vale più di

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influenze raffaellesche; ma qui egli è devoto ai ferraresi del suo tempo, quanto allo stile; quanto ad alcuni pensieri nell’atteggiare i soldati

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di costui. Ei ci lascia col dolore di vederlo uscir subito da una strada eh’era meglio accomodata ai suoi passi. Basta volger lo sguardo per vedere lo

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, sovra cui il maestro si preparava ai voli della concezione estetica.

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L’altro di cui mi resta a parlare è Biagio Pupini, detto Biagio dalle Lamme, la cui adesione ai raffaellisti non cancellò la sua provenienza dal

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campo in cui vi ho condotti, il ragionamento dovea per necessità esser monco. Chi potrebbe ormai, dopo tanto disperdimento di notizie, tener dietro ai

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miei numerosi appunti, avrei potuto rimaneggiare i tre discorsi per avvicinarli un po’più al tipo che tali scritture devono avere ai nostri giorni; ma

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